Crollare di parole


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Vedo un giovane alto e biondo aprire la porta. Entra. La richiude, ma le parole sono già dentro. «Tutto bene?» domanda.
«Sì, be’, più o meno.»
Il giovane si accomoda su una sedia con un notes in mano. Caratteri gli fluttuano attorno.
«Bene, e ora mi dica, come mi descrivereste? Allampanato, alto, sciancato, storto?»
«Posso… Posso scegliere solo fra questi vocaboli?» rispondo esitando.
Le parole cominciano a ribollirmi nella testa.
«No. Usi pure l’aggettivo che ritiene più adatto.»
«Smunto.»
Sento arrivare le vertigini.
«Smunto…»
«Anzi… no! Posso cambiare?»
I lemmi vacillano.
«Prego, prego.»
«Emaciato.»
Le lettere sembrano funzionare.
«Perché?»
«Mi suona meglio.»
L’aggettivo resta in piedi.
«Siete piuttosto istruito!»
«Ero un linguista, prima.»
Parole si formano attorno la mia bocca: ‘Passato, vita, lavoro, libro, cattedra.’
«Prima di impazzire? Capisco… Bene.»
«Scusa. Lei è un infermiere?»
Il termine ‘secondino’ mi resta impigliato addosso. Sto perdendo coniugazioni… non riesco più a connettere verbo-persona.
«No.»
«Potrebbe togliermi questa camicia…?»
Dovrei aggiungere altro, un aggettivo forse, ma la parola non esce.
«No, mi spiace, la camicia di forza resta, dovrebbe esserci abituato.»
«A volte me la mettevano. Ma perché? Sono stato cattivo?»
Altri aggettivi sbattono contro le pareti. ‘Sbagliato, errato, ingiusto, scherno, sorriso.’ Ritornano le coniugazioni.
«Cosa fa quando è cattivo?»
«Salto da per tutto. E grido, grido a squarciagola.»
Apro la bocca urlando. «Rabbia, torpore, ansia, schiavitù.» Gli stessi i lemmi appesi al soffitto.
Il biondo sorride scribacchiando sul notes mentre una ressa di caratteri precipitano sul foglio.
«Ok. Ora mi risponda; fra gli oggetti che le dirò, quale sceglierebbe? Il filo?»
«No, non mi piace. Serve a pescare, vero? No; fa del male ai pesci. I pesci sono tranquilli,» mi fermo ad ossequiare il silenzio liquido, «silenti.»
Le parole svanisco.
«Il cavo elettrico?»
«No, odio i fulmini, fanno male.»
Sostantivi strisciano fuori dalla sua bocca.‘Filo, bambino, dita, dolore.’
«La falce?»
«Suona un po’ macabro.»
‘Morte, nero, buio, fine.’
«Il martello?»
«Il martello…»
Chiudo gli occhi in cerca di una pausa in cui riflettere, ma le lettere si agitano dietro le palpebre. ‘Rosso, unione, comunità, stalinismo.’
«Mi scusi, a volte mi perdo. I dottori dicono che ho il dovere di affrontare le mie insicure paure
‘Omoteleuto, rima, verso.’
«Non si preoccupi. Torniamo a noi; il martello?»
«No, non mi piace l’elettricità.»
Un sibilo di parole mi morde il braccio ricordandomi il dolore provato quando da bambino avevo toccato un filo scoperto.
«Cosa c’entra l’elettricità?»
«Non è battendo col martello che gli dèi generano fulmini?»
Il ragazzone sorride e le lettere scaricano a terra.
«Ne sono rimasti solo due. L’incudine potrebbe risultarle di maggiore gradimento?»
Apostrofi cedono, coniugazioni si disperdono.
«La incudini mi piace, mi ricordano, coyote, risa.»
Lettere sbilenche mi segnalano errori.
«Oh, be’, contento lei. Vada per l’incudine allora.»
«Ma cosa vuoi fare
Il biondo si alza e le parole lo seguono.
«Vede, signore. Prima di aprire questa porta ho letto con attenzione la sua cartella clinica» ‘spazio, tempo’ «da me trafugata.»
Attesa. Forse sa. Parole mi assalgono tra gli spazi di un parlato. Sgorgano in fine. Lui attendente. Perché?
«Io sono qui per puro piacere.»
«Ma tu chi è? Dove sono gli altri?»
Scuote la testa.
‘Melodrammaticamente.’
‘Avverbio, modo.’
«Mi spiace doverle comunicare che la casa di cura è vuota. Vuota dei suoi pazienti, o clienti, se preferisce. E vuota dei suoi dipendenti che l’hanno preceduta all’altro mondo.»
«Ma allora dov’è siamo?»
Le lettere esplodono schizzando brandelli d’inchiostro ovunque.
«Oh, gridi pure.» Si sofferma al momento. «Siamo in un manicomio abbandonato, le stanze sono imbottite e insonorizzate per evitare spiacevoli grida ed eventuali suicidi.»
«Dove Pamela? Manuel?» ribatto prima che silenzio venga brutalizzato da lettere.
Ello aggrotta il viso. Scie di caratteri mutilati gli coricano lungo le grinze della pelle. ‘Cura, freddo, salvezza, libertà, esaltazione, morte.’
«No? Neppure un gridolino?» esso attende per un . «Pazienza. Quanto ai suoi amici… la feconda Pamela parlava troppo, ho scelto per lei il sacchetto di plastica girandole del nastro telato attorno al collo. Con estrema perizia, aggiungerei.»
Zitto.
‘Banalità, maniera, teatrale, abusato, stereotipo.’
«E il piccolo Manuel attende il suo turno nella stanza accanto. Così come gli altri pazienti che lo seguono o lo seguiranno.»
Detto questo, in lui s’appresta una spaccatura nella bocca. Le parole mi sfuggono, si mescolano. Un… una specie di. Ma più sbagliato, maledetto, scorbutico… Ha gli occhi infettati di sangue.
‘Sarcasmo, ferocia, durezza, ghigno, sghembo, balordo, insano, pazzo’
Poi le lettere stramazzarono come pioggia stridente.

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Ho tentato di creare una deformazione, non solo nelle parole pronunciate dal protagonista, ma anche nel suo stesso pensiero, e nella narrazione in 1° persona.
Il corsivo è un modo per semplificare la comprensione del lettore. Senza una marcata distinzione delle sgrammaticature la lettura risulterebbe ben più farraginosa.
Almeno questa è l’idea che mi sono fatto. Ma sono ben accette altre opinioni.

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